L’idea di realizzare uno spettacolo su Dashiell Hammett nasce non solo dalla personale ammirazione per lui, uno dei più grandi scrittori vissuti, ma anche da considerazioni più generali sulla crisi politica e culturale che la società contemporanea sta vivendo.


Il codice“3241” si riferisce al numero che nelle prigioni statunitensi identificava lo scrittore condannato dalla Commissione per le Attività Antiamericane, più nota da noi come Commissione McCarthy, dal nome del suo maggiore esponente ed ideatore. Il maccartismo, fenomeno politico capace di superare i confini degli U.S.A., divenne sinonimo di violenza politica e di profonda limitazione da parte del potere costituito della libertà di espressione e dei più elementari diritti civili e democratici.


Il film-documentario di George Clooney, dal titolo Good Night, And Good Luck, dimostra quanto al giorno d’oggi sia di grande attualità parlare di maccartismo:in ambito televisivo e giornalistico l’uso massiccio del terrorismo verbale tende ad associare le forme del dissenso ad un generico ed odiato nemico antidemocratico. In un epoca segnata dal monopolio dei mezzi di informazione e da un profondo inquinamento culturale, questo fenomeno è ancor più pericoloso di quanto accadeva nei lontani anni ’50.


Nel 1951 la Commissione McCarthy intimò ad Hammett di fornire alle autorità i nomi di alcuni dirigenti del Congresso dei Diritti Civili. Dashiell, già sospettato di essere stato iscritto al partito comunista americano, si rifiutò e per questo fu condannato a sei mesi di carcere. La bellezza e la purezza del nostro personaggio sono testimoniate dal fatto che lo scrittore realmente non era a conoscenza di quei nomi: per salvarsi dal carcere gli sarebbe stato sufficiente dichiarare questo, ma non volle, non voleva raccontare una verità che sarebbe stata interpretata dalla società civile come una menzogna assolutoria. Non volle farlo per un motivo molto semplice: non avrebbe mai permesso ai giudici ed alla polizia di insegnargli cosa fosse la democrazia. Per questo se ne andò in prigione dove non ebbe trattamenti di favore, dove fu messo a pulire cessi, un lavoro come un altro che doveva essere fatto bene.


Lo spettacolo è strutturato in due monologhi, il primo dei quali mette a nudo Dash osservandolo in un momento particolare, quel 9 dicembre 1951 che lo vede uscire dalla prigione, finalmente libero e felice. Nella seconda parte Lillian Hellman, la famosa scrittrice con la quale Hammett visse un amore tempestoso ma capace di resistere per trenta anni, ci racconta come dieci anni dopo la scarcerazione Dash morì per un cancro ai polmoni. 

Dashiell Hammett scompare da questo mondo ma resta con noi non soltanto per i suoi romanzi e per i suoi racconti (bellissimi) ma soprattutto per la sua immagine d’uomo duro e dolcissimo, severo e scatenato, amante della democrazia fino a sacrificare l’altro suo grande amore, la libertà.


Biagio Proietti

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