Com’è difficile vivere!


Questa è la lezione della commedia, impartita con brio e impastata con una buona dose di sarcasmo. Al centro dell’intricato ingranaggio le vicissitudini di tre amici, attori frustrati, che si ritrovano coinvolti nel rapimento di un ricco ed influente regista. Il sequestro è una ripicca, un indennizzo che i tre chiedono dopo anni di ingiustizie, di provini falliti ( non sempre per colpa loro! ) e di scottanti umiliazioni. Peccato che il giovane che ha messo in atto il piano e ha poi trascinato nell’avventura in una sorta di cameratismo goliardico i due compagni… abbia rapito la persona sbagliata. L’uomo, incappucciato e imprigionato nello stanzino della caldaia a gas sul terrazzo, è infatti il padre di uno dei protagonisti. In un clima torrido e disinvolto di piena estate l’azione deflagra come una bomba. Come se non bastasse a questo infernale equivoco si aggiungono pure le vicissitudini sentimentali dei rapitori in erba, avviluppati tra le spire paranoidi di tre fantastiche e lisergiche ragazze, con scambi di coppia ed insane quanto ferocissime gelosie. Inarrestabili, si lasceranno andare tutti verso una sbornia dei sentimenti nel tentativo di nascondere, attraverso un’originale catena di Sant’Antonio dell’Amore, il vuoto pneumatico. E l’Amore si vendicherà sottoponendoli a dei ribaltamenti di piani che li faranno precipitare, inseguendo i loro sogni, verso un finale bizzarro e incandescente in cui c’è tutta la leggerezza, il cinismo, l’ironia e la comicità di una generazione che ha fatto del dubbio la sua filosofia di vita. Dietro un’apparente sensibilità, un’anima vibrante e la netta coscienza di essere diversi dagli altri, si nasconde la fatuità, l’inconsistenza e la tragedia di una generazione di giovani d’oggi, che tenta di crearsi degli alibi attraverso una quantomai sospetta “emotività creativa”. Lo spettacolo, con carezze di garbo e randellate di ironia, mette a nudo crisi d’identità, utopie e nevrosi di una nuova Generazione Zero che, fatalmente, non riesce ad impossessarsi della realtà. Fuochi Fatui vuole essere uno spettacolo brillante e corrosivo dove un dialogo semplice, che muove continuamente al riso e alla distensione, improvvisamente rivela una crudele messa a nudo delle passioni… perché, in fondo, amare rimane l’unica Vendetta!














































In Fuochi Fatui, la cosa più interessante è la scrittura, frantumata, continuamente interrotta, piena di cesure, di impacciate riprese.

Una polivalenza di significati continua; un parlare non solo per dire qualcosa ma anche a seconda dei condizionamenti mentali, che generalmente il teatro trascura. Non è facile, nel teatro realistico almeno, trovare - come si trovano qui - delle battute in cui all’interno di poche righe si avvicendano dei procedimenti

mentali, come l’associazione di immagini, il parlare automatico, il parlare intenzionale, il parlare preterintenzionale, la coazione a ripetere. Tutto questo si trasforma in uno spettacolo appoggiato quasi esclusivamente sui valori brillanti del gesto e della parola, e quindi della recitazione; lavoro interessante tanto per un regista quanto per gli attori che vi partecipano. I personaggi della commedia vengono agiti dalle battute, che divengono così le vere dinamiche del testo. Il filo parodistico che ci accompagna nella lettura viene restituito nella messa in scena che si avvicina più ad una dimensione iper-reale che naturalistica. Lo spettatore si sentirà proiettato all’interno di un grande fumetto da sfogliare e goderne a proprio piacimento; neanche per un attimo, durante lo spettacolo, capirà che quelle solitudini, quei crolli di ideali, quelle ipocrisie, quelle rese così goffe e ilari gli appartengono più di quanto non creda.

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